• 24 Maggio 2025

Il tema della guerra, purtroppo, è un tema costantemente attuale. Sia perché la storia non va dimenticata né soffocata, e soprattutto perché ci sono paesi che, attualmente, vivono il conflitto ogni giorno.

Guerra che poi, non è mai voluta dalla popolazione civile, ma è sempre quest’ultima a pagarne le conseguenza più sanguinose, a vivere il terrore, a dover scappare altrove per sfamare i propri figli o, peggio, a rimanere sotto le macerie di bombe sganciate per motivi esclusivamente politici e dunque governativi.
Proprio gli ultimi anni sono stati la prova di come i conflitti riguardino soprattutto chi non se li merita e chi non li cerca: migliaia di persone ucraine o palestinesi, solo per portare un esempio, sono state costrette a fuggire al di fuori del proprio paese natale, il paese che amavano, magari. Certo non per scelta, non sono cose che si scelgono. Sono situazioni in cui i civili si ritrovano per via delle scelte di poche persone, per gli errori di altri, per le motivazioni di altri.
Ma allora chi cerca le guerre? Perché i governi scelgono di sacrificare delle persone? Le cause scatenanti delle guerre sono un argomento delicatissimo, senza dubbio, eppure quel che rimane certo è che nessuna guerra porta mai alcun vantaggio alle persone civili. Sono questioni di carattere puramente politico, che è vero, riguardano il futuro del paese, ma probabilmente non abbastanza da giustificare le condizioni di vita dei civili nel futuro imminente.

Proprio queste persone sono i soggetti dell’arte di Alessio Romenzi, le persone costrette alla guerra, alla fuga, a nascondersi o a resistere per cercare di tenere fuori il proprio paese dal disastro.
Prima di introdurre le opere fotografiche di Romenzi, tuttavia, è bene introdurre quest’ultimo e per farlo è giusto sottolineare che le prossime informazioni verranno riprese direttamente dal suo blog.

Romenzi, prima di intraprendere le sue avventure di testimonianza fotografica, faceva il fabbro e si avvicina alla fotografia grazie a un amico.
Vivendo un mese in Medio Oriente nel suo primo lavoro come fotografo, sceglie di non prendere il volo per tornare in Italia per dedicarsi alla testimonianza storica degli oppressi. Sono questi infatti i soggetti preferiti della sua fotografia: gli invasi, la resistenza o i civili. Coloro che, insomma, vivono la guerra per costrizione.

Chi è Alessio Romenzi?

Ad oggi, Romenzi, collabora con giornali di tutto il mondo per trasmettere le immagini di situazioni che, secondo lui e secondo molti, non vanno dimenticate.

Ma contestualizzando queste righe, ecco che lasciamo qua alcune delle fotografie di Romenzi. Facile notare immediatamente come, in queste foto ma anche in tutte le altre, alcune anche particolarmente crude, l’autore, perché è tale qualcuno che trasmette una così importante testimonianza, privilegi i soggetti “più deboli”: i bambini, i feriti, la resistenza.
Questo perché, parole dello stesso Romenzi, da una parte non gli sarebbe stato concesso dal punto di vista burocratico di testimoniare per l’invasore o per l’attaccante, ma dall’altra non ne era nemmeno interessato e preferiva testimoniare nel nome degli innocenti, dei civili che si sono trovati il fucile puntato addosso e che sono stati costretti, chi dal paese chi dal desiderio di proteggere la propria famiglia, a impugnare le armi contro altri uomini egualmente innocenti.

Persone che piangono amici, parenti o sconosciuti morti per una causa che, gran parte delle volte, non era la loro.
Romenzi è una di quelle persone che si occupa di portare agli occhi di chi non c’è la testimonianza di qualcosa di vero, di reale e di concreto, aprendo gli occhi di molto riguardo qualcosa che, purtroppo, sembra sempre più attuale.

Il potere comunicativo delle immagini di Alessio Romenzi

Le fotografie di Alessio Romenzi non sono semplici documentazioni visive di un evento: sono veri e propri veicoli emotivi. Ogni scatto ha la potenza di scuotere, di colpire profondamente lo spettatore, di farlo entrare – anche solo per un istante – nella quotidianità fatta di paura, resistenza e sopravvivenza vissuta da milioni di persone. Lo sguardo di un bambino coperto di polvere, il silenzio assordante di una città distrutta, la mano tremante di un anziano che stringe quella di un familiare: sono immagini che non hanno bisogno di traduzioni, perché parlano una lingua universale, quella dell’umanità.

È proprio questa capacità comunicativa che rende il lavoro di Romenzi così potente: riesce a superare le barriere linguistiche, culturali, persino ideologiche. Le sue immagini possono arrivare a chiunque: a chi ha vissuto la guerra sulla propria pelle e rivede in quelle foto la propria storia; a chi è lontano dai conflitti ma, guardando quelle scene, sente crescere dentro di sé empatia, rabbia, dolore o anche solo un maggiore senso di consapevolezza.

Il suo linguaggio visivo e diretto, non cerca lo spettacolo del dolore, ma ne mostra la cruda verità. Romenzi non giudica, non semplifica, non manipola: documenta. Ed è proprio in questa onestà che risiede la forza comunicativa del suo lavoro. Le sue fotografie invitano lo spettatore a non rimanere indifferente, a farsi domande, a riflettere sul ruolo che ognuno di noi ha – anche a distanza – nella costruzione o nella distruzione di un mondo più giusto.

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Lorenzo Princi

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